Chi osserva e
ascolta, partecipa di infinite vite altrui
Monumento di
Giuseppe Terrgani a Roberto Sarfatti
Sta su un colle
dell’altipiano di Asiago, attorno a pascoli e prati un tempo stravolti
dalla guerra. E’ lontano da insediamenti ed avvolto ad un panorama di
catene montuose e pendi, dove piccoli oggetti all’orizzonte
incuriosiscono l’osservatore. La pianura sottostante è un’omogenea
nebulosa d’elementi distesi in una superficie lievemente ondulata. In
questi posti il tempo cambia repentinamente colori e atmosfere.
Il piccolo
monumento compare quasi inaspettatamente. E’ stato commissionato negli
anni ’30 da Margherita Sarfatti a Giuseppe Terragni, in memoria del
figlio Roberto, caduto da combattente in questo luogo.
E’ una T stesa su
un prato. Alta oltre due metri, formata da conci di pietra locale su una
struttura in calcestruzzo, una scalinata di 15 gradini, un gigante cubo
monolitico sovrastante con incise sintetiche frasi commemorative, una
piccola foto, un inopportuno “recinto”, nient’altro…
I conci sono di
pietra di Asiago trattati a spacco di cava per il basamento, mentre
levigati per il monolite cubico (di due blocchi). L’opera fruibile
è orientata rispetto l’asse nord-sud.
Le richieste della
colta committente, il luogo impervio, fattori economici e questioni
burocratiche, condizionarono non poco il progettista trentenne, nonché
l’esecuzione e l’opera finale.
All’epoca, il
giovane architetto si trovò alle prese con questo particolare tema e
occupato - oltre che da altri incarichi - dal concorso per Palazzo del
Littorio a Roma.
Questo progetto
non rappresentò l’occasione per riprodurre e interpretare un aspetto
della vita, quanto ridurne la complessità. Terragni elaborò diverse
proposte abbastanza differenti, in una sequenza d’idee, considerazioni e
alternative tipiche del suo approccio. L’iter progettuale fu travagliato
e complesso quanto più semplice appare oggi il risultato. <<Un masso
preistorico scavato da una scala per renderlo percorribile>>; una
sepoltura <<degna di un antico soldato romano. Visto dall’alto,
ricordava un corpo disteso al suolo, con le braccia spalancate>>.
Il monumento
appare sicuro, ben poggiato, solido, massiccio.
Nelle giornate di
sole la luce accentua rugosità e volumetrie. Foschia, nebbia, nuvole
rivelano la patina del tempo, i rifacimenti, i ritocchi recenti, le
imperfezioni dei giunti.
Oggi, non lontano,
vi è una curiosa intelaiatura di legno eretta dai contadini. La
costruzione scheletrica appare incerta e precaria. Si muove leggermente,
quando soffia il vento.
Questi due
“oggetti” - presenze solitarie - nella loro contrapposizione
caratterizzano l’atmosfera.
Il monumento
(“oggetto” in se, radicato nella memoria collettiva dei questi luoghi ma
sconosciuto ai più) evoca diverse sensazioni e pone delle domande a chi
lo osserva. Chi deve ricordare? Perché è li? Chi lo ha voluto? Chi e
perché lo ha costruito? Rispondendo a queste domane, lentamente, si
capisce anche un’Architettura… Chi osserva e ascolta, partecipa di
infinite vite altrui.
Filippo Forzato |